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VENENUM IN CAUDA

 

VENENUM IN CAUDA

Arsenico e vecchi …trucchetti della politica

 

L’avvelenamento, pratica abituale tra le classi dirigenti dell’antichità classica, che trovò ampio impiego fino a trasformarsi in un fine strumento della politica durante il Rinascimento, trova anche oggi posto negli arsenali della democrazia contemporanea (vedi l’uso della diossina ai danni del neo leader ucraino Viktor Yùshenko e la morte sospetta di Yasser Arafat).

Il suo uso fin dal tempo delle antiche civiltà sumere, egizie e cinesi ci è testimoniato da trattati di criminologia che ne attestano il suo divenire strumento “legale” nell’antica Grecia (vedi il “caso Socrate” - accusato di corrompere la gioventù e di indurre al culto di nuovi dei - e condannato a morire avvelenato con la cicuta).

Il buon Mitridate, re dei Parti ed esperto in materia, ne aveva “subodorato” la pericolosa applicazione ai suoi danni da parte dei Romani (diede filo da torcere a personaggi del calibro di Mario, Silla, Lucullo e Pompeo Magno) insegnò ai posteri un metodo per prevenirne gli effetti più letali: il suo metodo funzionò così bene che, ormai temprato dai veleni, per farla finita dovette farsi uccidere da uno schiavo con la spada.

La pratica dell’avvelenamento come metodo politico per accelerare alcune crisi dinastiche si generalizzò durante l’impero romano: ne furono vittime, tra gli altri, imperatori celebri come Claudio, Domiziano e Caracalla e a nulla valse il loro tentativo di dribblarne gli effetti incaricando “praegustator” di professione per assaggiare i cibi.

Nel Rinascimento si deve alla famiglia Borgia il merito di aver rispolverato l’uso ad alto livello del veleno come strumento politico: si dice che elaborarono una pozione segreta (la “cantarella”) atta a mascherare in maniera perfetta il sapore dell’arsenico. Ai veneziani del “Consiglio dei Dieci” il merito di aver organizzato un vero e proprio staff di professionisti mercenari, talvolta al servizio della Serenissima, per eliminare su commissione gli avversari politici.

Dall’Italia l’uso del veleno si diffuse nella Francia aristocratica del XVII e XVIII secolo: forse la più famosa avvelenatrice dell’epoca fu la Marchesa de Brinvilliers che prima di eliminare i suoi ricchi parenti sperimentava i suoi veleni sui poveri e gli infermi che periodicamente visitava negli ospizi. Proprio il suo caso fu all’origine della creazione della “Chambre de Poisons”, una specie di tribunale che giudicava solo i casi di avvelenamento (…che debba ora occuparsi del caso Arafat?).

Proprio in Francia nacque ai primi del ‘800 la tossicologia moderna in grado di sviluppare metodi scientifici per individuare l’uso dei veleni classici come l’arsenico, alcuni metalli e gli alcaloidi, il che aprì spazi nuovi anche allo sviluppo della medicina legale.

Ma lo sviluppo della chimica nel XX secolo fu tale e tanto da far supporre che l’uso di veleni sempre più potenti e in grado di “mimetizzarsi” - tanto da superare le capacità della scienza di identificarli - sia stato all’origine di morti… eccellenti.

Fu veramente naturale la morte di Lenin? A Pisciotta e Sindona fu fatale un caffè “corretto”. Che sia stato un diabolico “vin santo” ad eliminare Papa Luciani? Come disse un arguto conoscitore della politica vaticana: “A pensar male si fa peccato. Ma certe volte ci si indovina…”

 

 

 

 

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