Belo Monte è un progetto più grande del Canale di Panama, che se realizzato inonderebbe almeno 400.000 acri di foresta pluviale, cacciando via 40.000 indigeni e distruggendo l'habitat inestimabile di numerosissime specie uniche al mondo: tutto questo per creare energia che potrebbe essere generata da investimenti nell'efficienza energetica. La pressione sulla Presidente Dilma contro la diga sta crescendo; il Presidente dell'agenzia per l'ambiente del Brasile si è appena dimesso, rifiutandosi di autorizzare la costruzione di Belo Monte e sfidando così la forte pressione politica che vuole andare avanti con questo progetto disastroso. Gli esperti ambientali, i leader degli indigeni e la società civile sono tutti d'accordo che Belo Monte sarebbe una profonda cicatrice ambientale nel cuore dell'Amazzonia. (...)
Tanti parlano delle migrazioni, di emigrazioni, di immigrazioni perché migrare è costitutivo della vita delle specie umane sulla Terra. In questo libro si offre un affresco di archeologia, preistoria e storia delle migrazioni,
Ad un anno di distanza le ripercussioni del devastante terremoto che ha colpito Haiti continuano a farsi sentire nelle aree rurali, aggravate all'epidemia di colera in corso e dalle inondazioni e frane provocate dall'uragano Tomas,
In che modo la "grande convergenza" forgerà il mondo del XXI secolo? Fortunatamente, nell'affrontare questa grande domanda, ho una guida: Ian Morris dell'Università di Stanford, autore di una brillante analisi su dove siamo, come ci siamo arrivati e dove potremmo andare, esposta in un saggio che copre 16mila anni di storia umana. Secondo il professor Morris, lo sviluppo sociale è spinto da «gente ingorda, pigra, spaventata» che «cerca di trovare un equilibrio ottimale tra le proprie esigenze di comodità, minor fatica possibile e sicurezza». Dal momento che gli esseri umani sono intelligenti e molto socievoli, inventano strumenti tecnici e istituzioni per raggiungere questo obiettivo. (...)
La pioggia arriva nel deserto. Per 52 giorni, nel bel mezzo dell’estate del 2010, gli scienziati sono riusciti a far piovere nel sud-est degli Emirati Arabi Uniti, a circa duecento chilometri dalla capitale Abu Dhabi.
British Petroleum è colpevole della catastrofe del Golfo del Messico, ma non è l'unica responsabile. Questa conclusione, raggiunta al termine di un'inchiesta governativa di sette mesi, è stata sufficiente a far salire immediatamente i titoli del colosso inglese in Borsa, nella realistica attesa che il se la caverà con una multa relativamente leggera e una condanna a pagare forse solo la metà dei risarcimenti che aveva anticipato. A Londra i titoli Bp hanno chiuso al rialzo dell'1,6%, mentre a New York hanno subito una lieve flessione. La commissione incaricata dal presidente Obama di indagare sulle cause dell'esplosione sottomarina del pozzo Macondo, al largo della Louisiana, ha concluso infatti che esse non possono attribuirsi solo a una serie di decisioni aberranti prese da alcuni individui. «Le cause dell'esplosione sono sistemiche, e in assenza di riforme nelle operazioni di trivellazione offshore e nella sorveglianza governativa simili tragedie potranno ripetersi in futuro». Il rapporto non esonera affatto Bp, anzi critica pesantemente la società inglese e i suoi due appaltatori, Halliburton e Transocean, per avere preso una serie di decisioni rischiose al fine di accelerare i lavori; le tre società sono state anche accusate di non aver comunicato tra loro e quindi di non aver prestato sufficiente attenzione ad alcuni rilevamenti sospetti. Oltre ad aver riversato circa 5 milioni di barili di greggio nel mare, l'esplosione del 20 aprile scorso ha causato anche la morte di undici operai. (...)