Il lento e ancora parziale collasso del mondo tribale africano si annuncia persino in posti sperduti come questo, all'estremo nord del paese, pochi chilometri dal confine con il Burkina Faso. (...)
Roberto Carvalho de Azevêdo, brasiliano, 55 anni, è il nuovo direttore generale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), per i prossimi 4 anni. Succederà al francese Pascal Lamy, il cui mandato termina il primo settembre. Azevêdo l’ha spuntata sul messicano Herminio Blanco, al termine di una consultazione durata quattro mesi. Alla fine Azevêdo ha conquistato il consenso della maggioranza dei 157 membri dell’organizzazione, aggiudicandosi così il prestigioso incarico. (...)
Per evitare la guerra dobbiamo smettere di vendere armi?”. Charles Glaser, autorevole professore di scienze politiche alla George Washington University, scrive un articolo in materia sulla rivista Foreign Affairs e il Wall Street Journal si pone la domanda in modo più che serio. Oggetto della discussione è la questione taiwanese ma di sicuro domande e risposte potrebbero essere ugualmente applicate a buona parte dei conflitti nel mondo. Anche ai nostri problemicchi mediterranei che mescolano popoli con tribù, democrazia con riconoscimento internazionale, il prima col dopo e la protezione dei civili con il più bugiardo degli interventi militari. Semplifichiamo per metodo perché l’argomento è piuttosto complesso. Taiwan, al secolo Repubblica di Cina, esiste solo grazie al sostegno degli Usa. Minacciata dalla nemica Repubblica popolare cinese, ossia dal governo di Pechino, la debole nazione insulare conta enormemente sulla forza deterrente della Settima flotta del Pacifico targata US Navy e sulla massiccia disponibilità di tecnologia militare nordamericana. “Le forze armate di Taiwan sono equipaggiate principalmente con armi comprate dagli Stati Uniti”, si legge sul sito del ministero degli Interni di Washington. Ma se nel 2007 l’esercito di Taipei contava su ben 450mila effettivi, oggi il numero è già ridotto a 275mila e ulteriori tagli sono già stati annunciati dalla Difesa. 9200 unità andranno a casa quest’anno e addirittura 60mila l’anno prossimo. Obiettivo finale, un esercito di non oltre 200mila soldati a pesare sul contribuente. (...)
«Il grado di civiltà di un popolo si misura dal modo in cui esso tratta le donne e i bambini». Intervenendo il 30 maggio alla presentazione, a Roma, del libro “Wartime Rape – African values at crossroads” di Pauline Aweto Eze, monsignor Fortunatus Nwachukwu, Capo protocollo della Segreteria di Stato Vaticano, così giudica le violenze perpetrate nei confronti delle persone più fragili. Donne e bambini, per l’appunto.
In particolare, il volume della Aweto offre l’occasione per discutere dello stupro, assurto ormai a tattica di guerra, un mezzo per umiliare il nemico attraverso l’oltraggio delle proprie donne. Il generale Patrick Cammaert, ex comandante delle forze di peacekeeping dell’Onu ebbe a dire che oggi in guerra è «più pericoloso essere una donna che un soldato».
Lo stupro, fenomeno tanto diffuso e accettato, specie in Africa, da aver spinto le Nazioni Unite ad approvare alcuni anni fa la risoluzione 1820, una norma nella quale si minacciano azioni repressive contro i responsabili delle violenze nei confronti del genere femminile di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aja. (...)
The international racing bodies responsible for scheduling Formula One events should take full account of continuing serious human rights violations when they consider rescheduling a 2011 race in Bahrain, Human Rights Watch said today. Human Rights Watch expressed its concerns in a letter sent jointly to the Federation Internationale de l'Automobile (FIA) and the Formula One Teams Association (FOTA). (...)
Riesplodono in Cina le proteste etniche di minoranze che si sentono oppresse dal potere centrale. Da dieci giorni migliaia di persone invadono università, scuole, piazze e strade della Mongolia Interna, regione all' estremo nord del Paese. I mongoli sono in rivolta contro l' autoritarismo di Pechino e contro i privilegi degli «han», i cinesi accusati di essere gli unici a beneficiare della crescita economica. Ieri le autorità cinesi hanno schierato l' esercito nel capoluogo Hohhot e agenti in assetto antisommossa hanno isolato decine di città e villaggi. Da una settimana la regione, al di là della Grande Muraglia, è irraggiungibile a causa dei posti di blocco. Secondo Amnesty International Asia, in alcune aree è stata stabilita la legge marziale. Le forze dell' ordine impediscono agli studenti di entrare in scuole e atenei e centinaia di manifestanti sarebbero stati arrestati tra domenica e ieri. Pechino è particolarmente nervosa. Siamo alla vigilia dell' anniversario della strage del 1989 in piazza Tienanmen e la capitale esce da mesi di tensioni per il terrore di un «contagio del virus democratico», come la propaganda del partito comunista definisce le rivoluzioni nordafricane. (...)