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La morte di Elena e le nostre vite ad alta velocità

La notizia della morte di Elena, una bimba di ventidue mesi, lasciata dal padre per cinque ore in auto sotto il sole, per una tragica dimenticanza,

non mi lascia tranquillo come padre e come cittadino. Sento una forte «pietas» per quest’uomo e per questa famiglia distrutta. Mi continuavano a risuonare le parole disperate e piene di amore della madre, che assolve il marito dalla tragedia. E’ difficile comprendere cosa sia successo, probabilmente questo dolore non avrà mai fine per le loro e per le nostre esistenze.
Tra le altre cose, quella donna ha detto: «Può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai». Cosa vuol dire mi sono chiesto, cosa c’è dietro questa atroce considerazione, di chi è dunque la responsabilità per quello che è accaduto? Ho cercato di capire e immaginare il dolore di quest’uomo [docente di Chirurgia veterinaria all’Università di Teramo] che, come dice sempre sua moglie, è un «padre esemplare, non si fermava mai perché si preoccupava di me, della mia gravidanza e della piccola Elena. Tutto doveva essere perfetto e io non mi dovevo preoccupare. Lui doveva accompagnare Elena all’asilo e io rimanere a casa a riposare. E intorno a tutto questo c’era da pensare al lavoro, alle responsabilità, alla casa appena costruita…». Questa affermazione, estrapolata dal contesto drammatico della vicenda, può essere la chiave per capire quello che ci sta succedendo, del resto frasi di questo tipo le sentiamo spesso nelle tante storie di ogni giorno nelle quali si fa fatica a star dietro alla nostra esistenza. (...)

L'articolo:
http://www.carta.org/2011/05/la-morte-di-elena-e-le-nostre-vite-ad-alta-velocita/

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